Un giovane giudice in Paradiso
Abbiamo sentito parlare molte volte di vittime della mafia e conosciamo, nel particolare, Falcone e Borsellino. Come loro c’erano altri uomini pronti a dare la loro vita per la giustizia. A 30 anni di distanza possiamo ricordare la morte di Rosario Livatino. Quest’uomo morì in giovanissima età, a soli 37 anni, ucciso da coloro che cercava di ostacolare. La sua morte, di mattina molto presto, il 21 settembre del 1990, non è diversa da quella di altri difensori della legge. Come ogni giorno, si stava recando a lavoro, partiva da Canicattì per arrivare ad Agrigento. Si trovava nella sua auto, una Ford Fiesta dal colore originale, il rosso, quando una moto ed una Fiat Uno iniziarono a seguirlo costringendolo ad accostare. Fu ucciso a colpi di pistola. È da specificare “colpi” in quanto non fu un singolo sparo ma diversi lo colpirono e per Rosario non vi fu alcuna speranza di sopravvivere. I primi a recarsi sul posto furono proprio Falcone e Borsellino, amici della vittima. Il magistrato era un ostacolo alle attività criminali, indagava ed operava affinché cessassero di esistere.
La sua storia è stata ricordata ed ammirata tanto che, pochi giorni fa, è stata presa una grande decisione dal nostro attuale Papa Francesco. Egli ha annunciato che il giudice Rosario Livatino sarebbe diventato Beato, il primo magistrato fra le vittime della mafia ad esserlo. Il magistrato, negli ultimi 30 anni, è stato chiamato anche “il giudice ragazzino” a causa della sua giovane età e del lavoro che svolgeva. La sua beatificazione è importante per riportare alla nostra memoria le vittime delle organizzazioni criminali che continuano ad agire con effetti gravissimi sulla società. Livatino era nel pieno della sua carriera e, soprattutto, della sua vita, ma non ha potuto portare a compimento la sua esistenza a causa del brutale martirio a cui è stato sottoposto.
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