Strage di piazza Fontana: l’inizio degli “Anni di piombo”
Il 12 dicembre 1969, a Milano, una bomba uccise 17 persone. Le indagini nel corso degli anni non hanno individuato i colpevoli
La data del 12 dicembre 1969 è legata alla strage di Piazza Fontana, il massacro avvenuto in seguito ad un grave attentato terroristico compiuto nella sede della Banca Nazionale dell’ Agricoltura di Piazza Fontana, nel centro di Milano.
Erano le 16:37 quando un ordigno di elevata potenza, contenuto in una borsa nera, esplose nel salone centrale della banca: morirono 17 persone ed altre 88 rimasero ferite. Una seconda bomba venne rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in Piazza della Scala. Vennero eseguiti i rilievi previsti e successivamente venne fatta brillare distruggendo, così, importanti elementi per risalire all’origine dell’esplosivo ed a chi aveva preparato gli ordigni. Tra le 16:55 e le 17:30 dello stesso giorno altre tre esplosioni si verificarono a Roma: una all’interno della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio, altre due sull’Altare della Patria. Questi attentati procurarono feriti e danni.
I cinque attentati terroristici di quel tragico 12 dicembre segnarono l’ inizio di un periodo storico dell’Italia che va sotto il nome di Anni di Piombo. Durante quel periodo, compreso tra la fine degli anni sessanta e gli inizi degli anni ottanta del XX secolo, si verificò un’esasperazione degli ideali politici che portò alla lotta armata ed al terrorismo. Si attuò la strategia della tensione, un progetto dei neofascisti per creare instabilità nello Stato e terrore fra i cittadini in modo da utilizzare il disordine e la paura per sbocchi di tipo autoritario.
Tutte le sentenze su Piazza Fontana portarono alla conclusione che fu una formazione eversiva di estrema destra, Ordine Nuovo, ad organizzare ed eseguire gli attentati, tramati da funzionari ”deviati” dei servizi segreti. Il vero movente delle bombe fu di spingere l’allora Presidente del Consiglio, il democratico Mariano Rumor, a stabilire lo stato di emergenza nel Paese in modo da facilitare l’ insediamento di un governo autoritario. La Commissione Parlamentare Stragi ha accertato che, in quegli anni, erano state progettate delle ipotesi di golpe per frenare la crescita degli schieramento politici di sinistra.
Il processo venne aperto a Roma, poi fu spostato a Milano ed infine a Catanzaro. Inizialmente le indagini vennero orientate sulla cosiddetta “pista anarchica” e la sera stessa dell’attacco vennero fermate ed interrogate circa 150 persone. Tra loro c’era anche Giuseppe Pinelli, un ferroviere anarchico, che fu trattenuto in questura e sottoposto ad un duro interrogatorio per tre giorni. Il terzo giorno Pinelli precipitò dalla finestra del quarto piano della questura milanese e morì. Le autorità archiviarono il suo decesso come suicidio scatenando un clima di tensione. Della morte di Pinelli fu accusato il commissario Luigi Calabresi che sarà assassinato dai militanti di Lotta Armata nel maggio 1972. In una successiva sentenza verrà stabilito che Pinelli è morto per un “malore attivo” che gli avrebbe causato perdita di coscienza mentre si trovava nei pressi della finestra da cui, quindi, precipitò. Pinelli è considerato la 18esima vittima della strage di piazza Fontana.
La pista neofascista iniziò ad essere esaminata due anni dopo la strage. Le indagini si concentrarono su alcuni esponenti del gruppo padovano di estrema destra, Ordine Nuovo, e coinvolsero esponenti di spicco dei servizi segreti che depistarono le indagini per proteggere i responsabili. Nei vari processi gli imputati vennero sempre assolti o per non aver commesso il fatto o per insufficienza di prove oppure in alcuni casi si è raggiunta la situazione di non processabilità degli accusati. Tuttavia alcune responsabilità personali furono accertate: si tratta di Carlo Digilio, figura legata al gruppo Ordine Nuovo. Digilio, reo confesso, fornì l’esplosivo per la strage ed ammise di essere stato collegato ai servizi americani, ma, pur risultando partecipante all’ organizzazione dell’attentato, il suo reato venne prescritto perché usufruì delle attenuanti per la sua collaborazione.
Su questa strage sono stati celebrati, in circa 40 anni, dieci processi, con depistaggi, fughe all’estero di imputati, latitanze più che decennali, condanne ed assoluzioni ed una conclusione senza colpevoli “dichiarati”. Nonostante siano state accertate delle responsabilità dei terroristi neofascisti è stato impossibile infliggere una condanna a loro carico: nessuno dei responsabili è in carcere. le spese processuali sono state addossate ai parenti delle vittime.
In occasione del 51esimo anniversario della strage riportiamo uno stralcio dell’ intervista al giudice milanese Guido Salvini, secondo cui “l’anniversario di quei tragici eventi del 12 dicembre 1969 non è solamente sdegno, ma è anche un insegnamento per le nuove generazioni perché la conoscenza storica può aiutare a non essere più vittime di certe logiche di potere”.
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