Si può uccidere un uomo, non le sue idee

La storia di un magistrato che ha sacrificato la sua vita per combattere la mafia

Ventinove anni fa avvenne la strage di Capaci, attentato di stampo mafioso che vide la morte di cinque persone: il famoso magistrato Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta. La malavita organizzata aveva già progettato che Giovanni Falcone non sarebbe più tornato a casa dopo quel pomeriggio. Più volte Cosa Nostra aveva provato ad uccidere il magistrato antimafia, ne è prova l’attentato dell’Addaura, ma non era mai riuscita a raggiungere il suo intento. Dopo aver guidato il maxiprocesso in cui centinaia di mafiosi erano stati messi alle sbarre, Falcone aveva avuto un incarico a Roma presso il Ministero. Ogni fine settimana tornava nella sua Palermo per godersi il weekend nella sua città natale, ma il 23 Maggio 1992, mentre si trovava sull’autostrada A6, esplose una bomba che mise fine alla sua vita.

La morte di Falcone paradossalmente è stato un passo avanti per la sconfitta della mafia, obiettivo non ancora raggiunto, poiché ha fatto nascere nelle coscienze di molti siciliani, specialmente dei più giovani, la consapevolezza che per sconfiggere la mafia serve l’aiuto di tutti, in particolare superando quell'omertà che era un tratto distintivo anche delle persone perbene. Anche se oggi di fatti così cruenti non ne esistono e, quindi, io non ho mai vissuto la morte di un magistrato così importante, l’eco del sacrificio di magistrati come Falcone arriva fino a me anche ventinove anni dopo. Se ancora oggi, a distanza di quasi trenta anni, riflettiamo su una morte così crudele, mi chiedo se questo non sia stato un grande autogol della mafia: l'omicidio di un magistrato ha privato l'Italia e la Sicilia di un servitore dello stato, ma ha reso la figura di Falcone un punto di riferimento per molte persone.

Non ci sono parole migliori per ricordare la morte di un uomo così importante come quelle pronunciate da Franco Battiato, il famoso cantautore catanese morto pochi giorni fa.