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  • Immagine del redattoreCATERINA MARIA RACHE MONTELLA

La situazione in Afghanistan vista dagli occhi di una ragazza del posto

La conquista del potere dei Talebani in Afghanistan attraverso gli occhi di una ragazza afghana

Sono Alia Gulab, ho sedici anni e vivo o almeno vivevo in Afghanistan con la mia famiglia, sono qui per raccontarvi la mia storia. Sono cresciuta in una famiglia agiata, mio padre era un mercante molto facoltoso e mia madre una professoressa. Vista la nostra situazione economica abitavamo proprio nella capitale, a Kabul, ed è, infatti, lì che io studiavo. Amavo lo studio, ma in particolare amavo la letteratura occidentale, con tanti libri adornavo gli scaffali della mia libreria e riempivo le mie giornate. Poi c'era Aisha, la mia migliore amica. Ci conoscevamo sin da bambine, anzi sin da quando ebbi la mia prima cotta per Yassar ....magari un giorno vi racconterò anche di lui. La mia era una vita felice, ma soprattutto libera. Il mio essere donna non influiva affatto sul mio quotidiano, ma soprattutto il mio essere afghana non era che un vanto prima di quella sera.

Era un giorno come gli altri, Aisha ed io eravamo da poco uscite da scuola e stavamo ovviamente parlando di “Omar Samandar“, pure il nome era odioso, era un ragazzo capace solo di dare fastidio e talvolta non sapevo come mi contenevo dal dargli un ceffone. Entrambe discutevamo di come anche quel giorno fosse stato capace di irritarci. “Ti giuro che la prossima volta non gliela faccio passare liscia” - dissi io. “Sai, tu inizi a farmi paura, se ti arrabbi, neanche Allah riesce a fermarti” replicò Aisha. “Allah al massimo tiferebbe per me se solo conoscesse quel ragazzo” - risposi io. Ci guardammo negli occhi e ridemmo fragorosamente. Fra risate e chiacchiere pochi minuti dopo arrivammo a casa mia e a malincuore la salutai. Se solo avessi saputo che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro, l'avrei stretta forte al cuore. Quel pomeriggio, come sempre, entrata in casa fui accolta da mio padre con un abbraccio, mentre mia mamma puntualmente sbuffava per la scena sdolcinata: “Chi è la mia figlia preferita?” disse mio padre. “Papà sono anche la tua unica figlia” risposi io e lui sorridendo disse: "Suvvia non puntualizzare e abbraccia questo povero vecchio”. Lo strinsi forte, ma mia mamma ovviamente rovinò il momento: “Ma guarda! Povero non sei proprio, visto che entrambi lavoriamo come muli!”. “Confermo di averti sposato per il tuo “divino” carattere amor mio” - disse ironicamente mio padre. “Ah, davvero? Io ti ho sposato per il tuo portafoglio tesoro“ rispose sfacciata mia madre. “Uno a zero per mamma” dissi io fingendo fosse una sfida e tutti e tre scoppiammo a ridere. Vedete, è in questi momenti che avrei voluto fermare il tempo. Dopo pranzo andai in camera mia e iniziai i miei compiti per poi concluderli un’oretta prima di mangiare. Prima di cena ero solita uscire sul terrazzo a leggere o a osservare le stelle. Quella sera quando uscii fuori con il mio libro preferito, trovai papà, sembrava sovrappensiero, ma non dissi nulla, mi parlò lui appena vide il libro, era il suo preferito da ragazzo “Il gabbiano Jonathan Livingston". "Qualunque cosa tu farai, non pensare mai a cosa diranno gli altri, segui solo te stessa, perché solo tu nel tuo piccolo sai cosa è bene e cosa è male, ognuno ha un proprio punto di vista. Non dimenticarlo mai, impara a distinguerti, ad uscire dalla massa, non permettere mai a nessuno di catalogarti come clone di qualcun altro, sei speciale perché sei unica, non dimenticarlo mai”. Mi sorrise e io lo ricambiai anche se nel suo sorriso intravidi un filo di tristezza. Poi mi prese le mani e mi disse : “Non dimenticarlo mai figlia mia perché un giorno non potrò più dirtelo”. Capii subito ciò che intendeva, ma non il motivo di tale frase in quella sera così serena. Prima che potessi chiedere spiegazioni, mia madre ci venne a chiamare per cenare. Durante la cena percepivo una strana tensione nell’aria, ma preferii non dire nulla, forse nella speranza che fosse una semplice impressione.

"Alia, Alia" - mamma mi chiamava freneticamente per nome. Non capivo ciò che stesse accadendo, ero certa di essermi addormentata da poco ed ero ancora più certa che non fosse mattina. “Alia ti devi svegliare, dobbiamo andare immediatamente via, prepara lo stretto necessario“. “Che succede mamma? Che significa tutto questo?” - le chiesi preoccupata. “Non ora Alia, ti devi fidare di noi e sbrigarti”. Non risposi, mi vestii e preparai una borsa con lo stretto necessario come richiesto. Uscimmo dalla porta del retro attenti a non far rumore e iniziammo a correre il più lontano possibile. Era quasi mattina, io non né potevo più di camminare, non ottenevo spiegazioni e la fiducia non mi bastava più, mi tirai furiosamente via dalla stretta di mio padre e dissi: “Ora basta, voi mi dovete delle spiegazioni, perché siamo fuggiti come ladri? Cosa sta succedendo?”. I miei genitori, visto che non avevo alcuna intenzione di muovermi, decisero di dirmi la verità. “Alia i talebani sono tornati… Ora avranno già conquistato la città, non avevamo altra scelta!". Non volevo crederci, non era possibile, non poteva essere successo. “Dimmi che stai scherzando, ti prego papà, dimmi che stai scherzando!”. Caddi a terra, le ginocchia non riuscivano più a sostenermi e scoppiai in un pianto isterico. Sembrava tutto perduto e per me lo era, ma non potevamo fermarci, perciò ripresi il mio cammino di speranza verso l’aeroporto aggrappata ai miei genitori.

La notte era calma, non si percepivano rumori, quello che stavamo vivendo poteva essere definita "la quiete prima della tempesta". Ormai erano ore che camminavamo, eppure la salvezza sembrava essere così distante e irraggiungibile. Eravamo poco distanti dall’aeroporto, ci concedemmo una pausa di pochi minuti. “Secondo te Aisha resisterà?” - chiesi a mia mamma. “Sarò sincera con te Alia, i talebani hanno stilato una lista di ragazze nubili dai sedici anni in su, nel migliore dei casi verrà data in moglie ai talebani, nel peggiore … nel peggiore solo Allah sa cosa potrebbero farle”. Annuii impassibile, avrei voluto invece urlare, ma la voce non mi usciva. Mi limitai a soffrire in silenzio. Ricominciammo a camminare giungendo al luogo della speranza, sembrava un miraggio essere salvi e infatti non eravamo stati i soli a tentare la fuga, non eravamo i soli a cercare salvezza, l’aeroporto era pieno e ora come ora il nostro destino era incerto. Mia mamma cercava di tranquillizzarmi, mi ripeteva che ci saremmo salvati, ma sono sicura stesse cercando di convincere più se stessa che me. Mio padre provava a parlare con le persone che gestivano gli imbarchi, ma non riceveva che risposte vaghe, finché a un certo punto udii la notizia più bella e triste della mia vita: “I passeggeri potranno imbarcarsi, ma solo ragazzi e bambini per questioni di capienza“. Mi si fermò il cuore e lo stesso successe ai miei genitori. Mi rifiutai subito: “No, non potete farmi questo, non potete lasciarmi” dissi con le lacrime agli occhi. “Amore non possiamo fare altrimenti, ti prego, tu devi salvarti” - disse mio padre. "Alia, Alia ti prego, ascoltami “ - disse mia madre portandomi vicino alla vetrata dell’aeroporto. “Vedi, le vedi Alia?” mi chiese, io non capivo di che stesse parlando. Era l'alba, ma nel cielo si vedevano ancora le stelle. “Lì ci sono le stelle, sono sempre lì di giorno e di notte, anche se alcune si spengono, sono sempre lì. Vi è una stella che ha un corso molto breve ma è bella, tanto bella che le altre si fermano a guardarla, quella è la stella cadente Alia”. Io le risposi: “Mamma non capisco, perché mi dici queste cose? Perché ora?“. Mi accarezzò il viso mentre una lacrima solcò il suo viso. “Tuo padre ed io siamo stelle che hanno generato una stella cadente, Alia ti prego permetti a queste povere stelle di guardarti brillare prima di spegnersi”. Annuii abbracciandola, si aggiunge al nostro abbraccio papà che, prima di salutarmi, mi disse: “L’unica vera legge è quella che conduce alla libertà”. Altra citazione del nostro libro preferito, li abbracciai un'ultima volta aggrappandomi a quei lembi di stoffa. Salii sull’aereo lasciando lì il mio cuore. Fu quando salii che lo vidi e lui vide me, Omar Samandar. A quel punto dimenticammo il rancore, l'odio, eravamo solo due ragazzi che condividevano lo stesso sfortunato destino. Mi sedetti vicino a lui e insieme scoppiammo in un pianto silenzioso, mano nella mano consapevoli che da lì in poi non c’eravamo che noi due, avremmo fatto di tutto per non perderci in quel lungo cammino di speranza.

Era il 15 agosto 2021 e la nostra vita stava cambiando per sempre.



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