Importante incontro del Papa
Ho davanti agli occhi lo scatto che immortala l’incontro a Erbil tra Papa Francesco e Abullah Kurdi il padre del piccolo Alan naufragato all’età di tre anni con il fratello e con la madre e ritrovato senza vita sulle coste turche. Allontano l’immagine dai miei occhi e subito si agitano un turbinio di emozioni. Sono sensazioni comunicate dall’immagine, ma anche dal contesto storico, politico e sociale nel quale questa fotografia si inserisce.
L’immagine ci restituisce tre diversi sentimenti: l’accoglienza, la fede mista alla rassegnazione, la costante presenza della pandemia. L’accoglienza è quella di Papa Francesco: il braccio largo, la mano aperta è simbolo di introduzione a sé della persona che il Papa riceve, di apertura di animo e di mente, di un Uomo pronto all’ascolto, alla consolazione e, comunque, al perdono per le inevitabili debolezze umane di Abdullah, collegate alla sua profonda percezione della ingiustizia subita con la perdita umana di un familiare per di più bimbo e, quindi, simbolo assoluto di innocenza. La fede mista alla rassegnazione è proprio quella di Abdullah: egli si avvicina al Papa con il capo chino, simbolo dell’ossequio e del rispetto nei confronti del Rappresentante di Cristo sulla Terra, ma lo sguardo è profondamente diverso da quelli che, spesso, abbiamo modo di scorgere nelle altre visite del Papa e nei suoi incontri con la folla a Piazza S. Pietro. È uno sguardo cupo, travolto dal dolore, rassegnato alla perdita irreversibile, la cui inestimabilità non potrà essere mai razionalizzata neanche con l’aiuto di Dio.
Lui sa che il Papa è lì, rappresenta Cristo, gli dà la speranza per sé di un futuro ricongiungimento con il piccolo in Paradiso, ma sa anche che nessuno, neanche Dio, potrà alleviargli il lungo e doloroso cammino della vita per sempre segnata dal dramma più sanguinoso che può verificarsi per un uomo: la perdita di un figlio.
E, sullo sfondo, la costante presenza della pandemia rappresentata dalla immagine del terzo individuo, un sacerdote, con la - purtroppo immancabile - mascherina protettiva dal virus Covid 19; una immagine che, combinata con il cupo sguardo di Abdullah, rammenta a tutti noi il superamento della soglia agghiacciante del 100.000 morti in Italia, degli oltre 2000 morti in Brasile in un solo giorno, del buio nel quale ancora galleggiamo, inermi, nella speranza che tutto possa avere un lieto fine, presto.
Al di fuori dell’immagine e intorno ad essa, poi, c’è il contesto storico, politico e sociale di questo incontro che pure non può andare esente da considerazioni. Il Papa, simbolo della Cristianità, si è recato in Iraq nel paese di Saddam Hussein considerato, unitamente all’Afghanistan, dopo l’11 settembre del 2001 la roccaforte talebana, il nemico più grande della nostra vita quotidiana e del cattolicesimo. È una congiunzione importante soprattutto alla luce delle tante scoperte che, come popolazione mondiale, abbiamo fatto nel corso dei decenni successivi, sulle sofferenze indicibili anche dei popoli iracheni e afgani, prima vittime della dittatura, poi dei talebani e poi della guerra americana che li ha abbandonati senza costruirgli, come promesso, un futuro. Il contesto politico è la speranza di un Iraq liberale, che riconosca i diritti minimi alle donne, che riequilibri i poteri dello Stato, che possa, anche a seguito del contatto con il Papa, apprezzare lo sviluppo economico e politico proprio della democrazia e possa avvicinarsi sempre più, con la sua straordinaria storia e cultura islamica e con la sua religione, ad una concezione dello Stato nel quale i suoi cittadini possano davvero sentirsi appagati e orgogliosi di esserne parte integrante.
E, da ultimo, il contesto sociale rappresentato dai fenomeni migratori con le sue tragedie, le sue vittime innocenti, la sua tremenda selezione spietata lungo i nostri mari, le nostre coste, a pochi chilometri da noi.
La distribuzione dei migranti in Europa è certamente un passo decisivo per la gestione del flusso di questi popoli disperati, ma deve essere gestita politicamente proprio con il sorriso di Papa Francesco che è l’antitesi della diversità intesa come cultura del nemico e come semina della paura che invece ha dominato negli ultimi anni la vita politica europea. Una semina che porta disuguaglianze e drammi del quale il nostro Mondo prima poi sarà chiamato a pagare il conto.
Siamo stati, siamo e saremo sempre migranti su questa Terra perché la Terra è di tutti.
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