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Il maxiprocesso che segnò la condanna a morte di Giovanni Falcone

Aggiornamento: 7 lug 2022

Chi era Giovanni Falcone e il perché della sua crudele morte


di Annachiara Mazzariello e Sara Zagaria

Giovanni Falcone era un magistrato che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia pur sapendo il rischio che correva. La sua morte, però, è un monito per tutti quelli che accettano di mettere la propria vita in pericolo per combattere una forza molto più grande di tutti noi. Infatti per sconfiggere la mafia ora si parla di “Metodo Falcone”, ossia seguire i flussi finanziari, controllare le banche, ispezionare conti correnti e quelli apparentemente inattaccabili all’estero. Ancora prima del giorno fatale, Falcone aveva già previsto la sua morte. Il 13 aprile del 1985 il magistrato in un’intervista della Repubblica dichiarò: «Il clima è tale che spesso bisogna stare attenti anche alle persone che ti circondano». Dieci giorni dopo iniziava il grande maxiprocesso contro la mafia.

All'inizio degli anni '80 all'interno di Cosa Nostra si scontrarono due gruppi: quello dei Corleonesi, capeggiato da Totò Riina, e quello guidato da Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti. Il clan dei Corleonesi uscì trionfante dal conflitto. Per contrastare le violenze, in qualità di consigliere istruttore del tribunale di Palermo, Rocco Chinnici organizzò un gruppo di magistrati che si sarebbero occupati dei crimini della mafia. Chinnici rappresentava una minaccia per la mafia e venne assassinato nel 1983 da Cosa Nostra. A sostituirlo subentrò Antonino Caponnetto, che nel pool antimafia chiamò personaggi del calibro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Giovanni Falcone e Borsellino si misero subito all'opera per denunciare i crimini di Cosa Nostra. Un contributo importante alle indagini fu svolto dai pentiti. Tra questi c'era anche Tommaso Buscetta. Infatti le testimonianze di Buscetta permisero ai magistrati siciliani di capire come funzionava il gruppo mafioso di Cosa Nostra. Inoltre, grazie alle sue dichiarazioni, il 29 settembre 1984 le autorità eseguirono 366 mandati di cattura nei confronti di presunti mafiosi. L'operazione è chiamata "il blitz di San Michele".


Il “maxiprocesso” si concluse il 16 dicembre 1987 con 360 condanne a 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare.

Il “capo dei capi”, Totò Rina, vide Falcone come una minaccia a causa del duro colpo che aveva inflitto alla mafia, così alle ore 18.00 del 23 maggio 1992 organizzò un attentato che uccise Giovanni Falcone insieme alla moglie e alla sua scorta. Furono piazzati 1000 kg di tritolo sotto l’autostrada nei pressi di Capaci.


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