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Hannah Arendt

Hannah Arendt è stata una politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense in seguito al ritiro della cittadinanza tedesca nel 1937. Nata da una famiglia ebraica a Linden, e cresciuta prima a Königsberg e poi a Berlino, la Arendt fu studentessa di filosofia di Martin Heidegger dell'università di Marburgo. Dopo aver chiuso la relazione sentimentale con quest'ultimo Hannah si trasferì a Heiderbelg , dove si laureò. Nel 1929 sposò il filosofo Günther Anders, da cui si separò nel 1937. Lasciò poi la Germania per Parigi. Nel 1940 sposò il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, con cui emigrò negli Stati Uniti d'America. Tra il 1960 e 1962 seguì il processo di Adolf Eichmann, un criminale nazista, dal quale prese spunto per scrivere "La banalità del male". Hannah morì il 4 Dicembre 1975 in seguito ad un attacco cardiaco.

Hannah Arendt difese il concetto di "pluralismo" in ambito politico. Grazie al pluralismo il potenziale per la libertà politica e l'uguaglianza tra le persone si sviluppano. I lavori di Hannah riguardavano la natura del potere, la politica, l'autorità e il totalitarismo. Nel suo resoconto del processo ad Eichmann, che divenne poi il libro "La banalità del male ", l'Arendt ha sollevato la questione che il male possa non essere radicale, anzi è proprio l'assenza di radici, di memoria , del non ritornare sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se stessi, che personaggi spesso banali si trasformino in autentici agenti del male. E' questa stessa banalità a rendere un popolo acquiescente quando non complice con i più terribili misfatti della storia ed a far sentire l'individuo non responsabile dei propri crimini, senza il benché minimo senso critico.

La banalità del male inizia con una disanima delle condizioni sociali dell'epoca del processo ad Adolf Eichmann. Arendt critica duramente il discorso di apertura tenuto dal pubblico ministero Gideon Hausner, ed in particolare la frase "noi non facciamo distinzioni etniche". Nell'opinione dell'autrice, il processo ad Eichmann era fondato proprio sulle distinzioni etniche e religiose: l'imputato era accusato di crimini contro il popolo ebraico e di crimini contro l'umanità commessi sul corpo del popolo ebraico, oltre ad essere strumentalizzato dalla politica del giovane Stato d'Israele.

Secondo l'autrice la sentenza non fu del tutto soddisfacente; sebbene la conclusione sia stata giusta, nell'ottica che quanto successo possa ripetersi si sarebbe dovuto finalmente definire un soddisfacente motivo per cui Adolf Eichmann – come qualsiasi gerarca nazista – sia stato condannato, poiché come a Norimberga si sollevò il problema che egli non avesse violato alcuna legge già in vigore. Con la sentenza effettivamente pronunciata, si fece quanto dovuto - condannare a morte Eichmann- mediante mezzi sbagliati, ovvero tenendosi dentro le leggi di Israele, non definendo veramente quel che Eichmann aveva davvero fatto.Questo processo diede occasione a molti di riflettere sulla natura umana e sui movimenti del presente.

La Arendt si occupa della genesi del male, non tanto della sua manifestazione. Nel pensiero della Arendt per un essere umano è male l'essere un inconsapevole volontario, il braccio intenzionalmente inconsapevole di qualcun altro, ed è qualcosa di estremamente comune e banale, che il potere può organizzare e utilizzare in moltissime maniere. Il regime totalitario è una di quelle possibili, è ingenuo pensare che sia l'unica, banalizzando così il pensiero della Arendt.

Il concetto che esprime Arendt è molto complesso, non è facile da comprendere, in alcuni punti può sembrare anche fuori dal comune per quello racconta, ma io penso che abbia spiegato a pieno e nei minimi dettagli un concetto che può sembrare ovvio a tutti. E' una capacità la sua che io ammiro molto perché è stata in grado di trasformare una cosa oggettivamente facile in un argomento elaborato e complesso.

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