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Gli "invisibili" di Lipa: abbandonati al freddo della Bosnia


I letti arrugginiti e i tendoni bruciati, quasi mille migranti intrappolati nel ghiaccio della Bosnia, sono queste le conseguenze del disastroso incendio avvenuto lo scorso 23 dicembre al campo profughi di Lipa.

I profughi, originari in gran parte del Pakistan e dell’Afghanistan, si mettono in fila per ricevere un pasto, l’unico della giornata, distribuito dalla Croce rossa locale e da alcuni volontari venuti dalla Turchia. Si riparano con quello che hanno: coperte e sciarpe. Alcuni di loro hanno ai piedi solo delle ciabatte di gomma. “Le temperature stanno scendendo sotto lo zero, la prossima settimana caleranno ancora di più ma sembra che nessuno si curi di noi”, afferma Ashfaq Ahmed, un ragazzo originario del Kashmir di 26 anni, che non è riuscito a prendere il sacchetto di cibo distribuito dagli operatori umanitari con dentro mele, yogurt e tonno.

Non era inaspettato l’arrivo dell’inverno e della neve nei Balcani, ma nonostante questo per il terzo anno consecutivo in Bosnia migliaia di migranti sono senza un alloggio, perché non ci sono abbastanza posti nei campi ufficiali. L’incendio ha distrutto il campo di Lipa nello stesso giorno in cui ne era stata annunciata la chiusura dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’organizzazione internazionale che lo gestiva, perché il campo era ritenuto inadeguato a ospitare delle persone. Era senza acqua, senza fognature e senza elettricità.

Nonostante il paese sia da anni un importante snodo lungo la rotta balcanica (con 65mila persone transitate a partire dal 2018), le autorità locali hanno chiuso alcuni campi, invece di aprirne degli altri. Il 6 gennaio il portavoce dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha detto alle autorità bosniache che “devono assumersi le proprie responsabilità”. Il portavoce Peter Stano ha sottolineato che “negli ultimi due anni abbiamo fornito oltre 90 milioni di euro per centri, attrezzature, assistenza medica e sociale” e che, quindi, ora “abbiamo bisogno che si muovano, non che giochino con la vita delle persone”.

La politica di respingimento operata dai paesi dell’Unione Europea lungo la rotta balcanica ha delle conseguenze importanti sulla gestione della frontiera di paesi extraeuropei come la Bosnia. “Solo la nostra organizzazione ha registrato 15mila respingimenti da parte della polizia croata, il 60% delle persone ha denunciato di aver subìto gravi violenze, abusi anche sessuali da parte di uomini in uniforme nera collegati alla polizia”, continua Bay. “Ma la verità è che la Croazia è solo il caso più eclatante, in tutta Europa quella dei respingimenti è una prassi consolidata in spregio alle leggi internazionali”.



Siamo nel 2021 e ci sono realmente persone che si credono superiori ad altre solo per il posto che occupano nella società? Non ho parole, queste persone non sono terroristi, non sono animali, non sono assassini, sono persone, persone meno fortunate, persone a cui la vita ha dato meno di ciò che gli spettava e noi, noi invece di aiutare restiamo indifferenti o, ancora peggio, respingiamo questi individui ritenendoli "diversi", ma diversi in cosa? Ci siamo mai chiesti se fossimo noi quelli al freddo, che implorano aiuto, ci siamo mai immedesimati nelle persone che allontaniamo per paura di ciò che possano fare?

Perché una volta per tutte non ci limitiamo ad ascoltare piuttosto che dire sempre la nostra, perché, per una volta, non proviamo ad aiutare, ad abbattere le barriere invece di alzarle? Per una volta, proviamo ad essere umani invece che bestie, perché siamo nel XXI secolo, ma l'unica parola che mi viene in mente per esprimere ciò che accade è "disgusto".

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