Giovanni Falcone ucciso dalla Mafia

"Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola"

di Federica Barra e Sara Zagaria

Giovanni Falcone era un magistrato, assassinato dalla mafia il 23 maggio 1992 a Capaci insieme alla moglie e a tutta la scorta. Sull'autostrada i mafiosi posizionarono 500 chili di tritolo che devastarono tutto l'asfalto: "L'autostrada era sparita, al suo posto c'era un cratere". Il primo ad arrivare sul posto fu il fotografo Antonio Vassallo che aveva sentito l’esplosione: “Erano le 17:58. Sono saltato in sella al motorino e mi sono trovato di fronte una scena mai vista, degna di un film di guerra. Gli ulivi centenari sradicati da terra. Un pezzo di autostrada era semplicemente sparito”.

L'arresto e gli interrogatori del pentito di mafia Buscetta permisero di ricostruire interamente la catena di comando della mafia. A Falcone e ai membri del pool antimafia si deve il maxi-processo, il più grande processo contro la criminalità organizzata

mafiosa mai tenuto al mondo: 460 imputati, 200 avvocati difensori, quasi sei anni di lavoro. Si concluse con 19 ergastoli e pene per un totale di 2.665 anni di reclusione. Fu condannato anche il capo dei capi di Cosa Nostra: Totò Rina. Ciò che va messo in evidenza è che, con l'inizio del maxi-processo, Giovanni Falcone sapeva che la sua fine era oramai segnata. E questo sapeva anche il governo quando nel 1985, dopo l'assassinio di Beppe Montana (28 luglio) e Ninni Cassarà (6 agosto), due suoi stretti collaboratori, impose ai giudici del pool e alle loro famiglie di trasferirsi presso il carcere dell'Asinara, unico posto ritenuto sicuro.

Giovanni Falcone era consapevole del pericolo che affrontava ogni giorno con il suo lavoro, ma, nonostante questo, proseguì con l’obbiettivo di continuare a lottare contro la mafia perché voleva cambiare le cose nonostante fosse stato avvertito più volte che questo lo avrebbe portato alla morte.